L’obiettivo finale e ideale della terapia causale è la prevenzione della progressione di una malattia parodontale ormai stabilizzata. Gli obiettivi principali sono l’arresto della perdita di attacco, la riduzione dei sondaggi, la maturazione dei tessuti e il controllo dei fattori di rischio, locali e sistemici, associati alla parodontopatia. In questa fase già molto avanzata e positiva dell’approccio al paziente parodontale, l’attenzione deve spostarsi su quei siti patologici che non sono andati incontro a completa guarigione, ovvero le cosiddette tasche residue, la cui permanenza è in grado di per sé di condizionare la prognosi. Per il trattamento delle lesioni sono contemplate dunque le tecniche chirurgiche. In questo senso è indispensabile appoggiarsi, come del resto in tutta la terapia parodontale, a protocolli documentati.
Rifacendosi a quanto evidenziato dalla revisione di Graziani e colleghi (Periodontology 2000, 2017), vi sono evidenze significative sufficienti a definire una tasca residua pari o superiore ai 5 mm come a rischio di progressione verso la perdita dell’elemento e, di conseguenza, indicata per trattamento chirurgico. Dai 4 mm a salire vi è indicazione al ritrattamento non chirurgico, mentre una tasca ≥ 6 mm è già da considerarsi profonda. In quest’ultimo caso l’approccio chirurgico è significativamente più efficace rispetto a quello non chirurgico in termini di riduzione del PPD e di abbattimento del microbiota non compatibile con la salute parodontale.
I difetti sopraossei, in ragione del loro pattern di riassorbimento osseo orizzontale, sono da considerarsi meno predicibili rispetto a quelli intraossei. Una recente revisione sistematica condotta dallo stesso Graziani insieme, fra gli altri, a Tonetti, dedicata all’approccio conservativo ai difetti sopraossei (PPD 5.19 ± 1.84 mm) con applicazione di derivati di matrice dello smalto ha quantificato in circa 2 mm la riduzione del PPD, dato comunque confortante dal punto di vista clinico.
Trattamento chirurgico delle tasche parodontali: fattori prognostici
Nonostante l’efficacia, consolidata sul piano delle evidenze, dei protocolli operativi disponibili, si osserva una variabilità di risposta al trattamento. I fattori prognostici possono essere raggruppati in 3 categorie: patient‐related, defect‐related e therapist‐related. La prima è rappresentato sostanzialmente dal controllo di placca e dall’abitudine al fumo, mentre la seconda si rifà essenzialmente alla classica definizione morfologica dei difetti intraossei (a tre, due o una parete). L’ultima considera invece la presunta dipendenza dall’operatore, dato questo difficile da rapportare dalla pratica clinica alla metodologia scientifica. Le evidenze si rifanno essenzialmente a lavori multicentrici come quello di Sanz del 2004. È auspicabile che la diffusione delle nuove tecniche di approccio mininvasivo vada ad assottigliare tali criticità, in quanto l’applicazione di tali protocolli è subordinata a una precisa selezione dei casi.
Riferimenti bibliografici
Filippo Graziani Dimitra Karapetsa Nikolaos Mardas Natalie Leow Nikolaos Donos Surgical treatment of the residual periodontal pocket Periodontology 2000
Graziani F, Gennai S, Cei S, Ducci F, Discepoli N, Carmignani A, Tonetti M. Does enamel matrix derivative application provide additional clinical benefits in residual periodontal pockets associated with suprabony defects? A systematic review and meta‐analysis of randomized clinical trials. J Clin Periodontol 2014: 41: 377–386.
Sanz M, Tonetti MS, Zabalegui I, Sicilia A, Blanco J, Rebelo H, Rasperini G, Merli M, Cortellini P, Suvan JE. Treatment of intrabony defects with enamel matrix proteins or barrier membranes: results from a multicenter practice‐based clinical trial. J Periodontol 2004: 75: 726–733.